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«Nel turismo, un comparto che conta oltre un milione di addetti e circa 300.000 lavoratrici e lavoratori stagionali, l’elevata diffusione del lavoro irregolare rappresenta una nube tossica che inquina e danneggia una leva strategica per l’economia del nostro Paese».

A dichiararlo è il segretario generale della Fisascat Cisl, Davide Guarini, tra i relatori che hanno preso parte al convegno “Il sindacato per la dignità del lavoro. Frammentazione e rappresentanza in agricoltura e turismo”, promosso a Pisa dalla Cisl territoriale. 

«L’ultimo rapporto Istat sull’Economia Non Osservata ci dice che nel comparto del commercio e del turismo l’incidenza del lavoro irregolare si attesta al 15,3%, al terzo posto dopo i servizi alla persona, al 43,4%, e l’agricoltura, al 18,4%» spiega Guarini.

Il segretario generale della Fisascat fa poi riferimento al tessuto produttivo delle imprese che ope«L’irregolarità – prosegue – si lega innanzitutto alla stagionalità che da sempre caratterizza il settore turistico. È infatti proprio nei picchi di attività stagionale che il ricorso al lavoro irregolare si fa più intenso, dando luogo a fenomeni distorsivi che espongono centinaia di migliaia di lavoratori al rischio sfruttamento. È anche per questa ragione che la Fisascat si è battuta e continua a battersi per una decisa politica di destagionalizzazione del settore che avrebbe effetti benefici sulla precarietà e sull’irregolarità, oltre che per una revisione del sistema di ammortizzatori sociali tale da garantire un adeguato sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori nei momenti di fermo».


Quello del turismo è  un tessuto «frammentato, fatto per il 93% di microimprese spesso refrattarie agli investimenti tecnologici e scarsamente produttive, che ricorrono al lavoro irregolare per risparmiare sui costi. Senza dimenticare che il turismo impiega in maggioranza giovani (il 60% ha meno di 40 anni), donne (53%) e lavoratori stranieri (1 su 4), categorie spesso costrette ad accettare la costituzione di un rapporto che si declina nelle forme irregolari non solo del lavoro nero, ma anche del lavoro grigio».

Serve allora «un cambio di passo culturale, una svolta in cui il sindacato possa esercitare una funzione di educazione preventiva, formando le lavoratrici e i lavoratori sui loro diritti legali e contrattuali e aumentando la conoscenza degli strumenti di tutela messi a loro disposizione. Le Parti Sociali, insieme, possono agire da veri e propri anticorpi del lavoro irregolare, attraverso una struttura bilaterale ben radicata, in grado di promuovere attività formative e informative e, laddove necessario, introdurre incentivi per favorire processi di emersione volontaria».

«Occorre, infine, rafforzare il personale preposto alle attività ispettive: troppo pochi i circa 3.500 ispettori, spesso imbrigliati dalle procedure burocratiche. Il personale ispettivo dovrà inoltre ricevere la giusta formazione per monitorare come il lavoro nero si inserirà nei processi di digitalizzazione che stanno completamente trasformando il mercato del lavoro» ha concluso il sindacalista.