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Pavel (nome di fantasia) è un operaio agricolo. È polacco, capisce l’italiano anche se non benissimo. Lavorava in un vivaio della provincia di Pisa. Per lui non c’erano sabati, domeniche o giorni di festa: le piante devono essere tutti i giorni ai fornitori. Era sotto inquadrato e sottopagato. Fintanto ché non decise di bussare alla porta del sindacato per capire quali sarebbero stati i suoi diritti. «Di ritorno dal sindacato – racconta Lara Azie (Fai/Cisl) – Pavel trovò il coraggio di chiedere al datore di lavoro la giusta busta paga ed il giorno di riposo settimanale. In tutta risposta il datore di lavoro gli disse di andarsene e di non tornare più al sindacato per farsi difendere: altrimenti un avvocato lo avrebbe fatto condannare per furto». La vicenda, racconta la sindacalista, andò (per fortuna) in modo diverso: l’ufficio vertenze della Cisl di Pisa – sostenuto da un pool di legali – riuscirà a far avere a Pavel una compensazione per i torti subiti.
Aisha Bankole (nome di fantasia) è  lavapiatti in un ristorante giapponese. Si è affacciato agli sportelli di Fisascat/Cisl. Parla poco l’italiano e capisce male quello che i sindacalisti gli dicono. Sfruttato, sottopagato. Ha un contratto a tempo determinato. Ma, alla fine del colloquio, non ha voluto avviare una vertenza per paura di perdere quei pochi soldi che gli vengono dati. Aisha – ricostruisce la segretaria di Fisascat/Cisl di Pisa Claudia Vargiu – sostiene che tutti i suoi connazionali lavorano nelle sue stesse condizioni.


Storie di lavoro grigio, nero, di sfruttamento raccontate oggi in un incontro a Palazzo degli Stalloni in zona Cascine Vecchie a San Rossore, dove la Cisl di Pisa ha messo allo stesso tavolo politici – il sottosegretario di Stato al Ministero dell’Agricoltura  Patrizio Giacomo La Pietra – amministratori – il vicepresidente della Regione Toscana Stefania Saccardi, il sindaco di Pisa Michele Conti, il presidente della amministrazione provinciale Massimiliano Angori – sindacalisti – il segretario nazionale confederale Cisl Andrea Cuccello i segretari nazionali Fai Cisl  Onofrio Rota e Fisascat Cisl  Davide Guarini, il segretario generale di Cisl Toscana Ciro Recce – e alcuni ‘tecnici’: la direttrice dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Pisa e Livorno Michela Tarabella, il direttore dell’Inail di Pisa Carmine Cervo. Con loro, intervistati dai giornalisti Andrea Bernardini e Simona Giuntini, anche il presidente di Federalberghi Toscana Daniele Barbetti e  Stefano Maestri Accesi, presidente di Confcommercio e componente della giunta della  Camera di Commercio Toscana nord-ovest.


Lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura è un fenomeno antico. Un tempo le vittime predestinate erano i coloni ed i mezzadri, oggi sono, per lo più, i migranti. Romeni, albanesi, polacchi, senegalesi, marocchini, nigeriani, indiani, pakistani rappresentano, ormai, il 36% della manodopera in agricoltura in Toscana. E stanno sostituendo, a poco a poco, la manodopera dipendente italiana, poco attratta dal lavoro agricolo perché faticoso e poco redditivo. Non sempre gli operai agricoli conoscono i loro diritti, nonostante le campagne di informazione portate avanti dai sindacati. Spesso i loro contratti di lavoro iniziano e finiscono durante l’anno, in corrispondenza di lavorazioni specifiche – generalmente la semina e la raccolta – che determinano un aumento della domanda di lavoro. 
E quasi mai è facile per gli ispettori dell’Ispettorato del lavoro individuare irregolarità … in campo aperto: per la reticenza delle stesse vittime dello sfruttamento, per le grandi dimensioni delle aziende agricole, per i pochi ispettori messi a disposizione. 

Non va meglio in molti luoghi di lavoro del sistema ricettivo.  L’impiego massivo di lavoro grigio – di cui sono vittima sia i lavoratori permanenti che quelli stagionali. L’uso distorto dei contratti a chiamata, con l’apertura in chiaro solo di pochissime chiamate al mese. Le assunzioni a poche ore settimanali senza giorni di riposo da maggio a settembre. 
Lavoro grigio e nero, che finisce, peraltro, con il falsare il mercato, dove le aziende sane, rispettose dei diritti dei propri dipendenti, subiscono la concorrenza sleale delle altre.
Una delle proposte emerse dal convegno: individuare uno strumento per rendere ‘riconoscibile’ anche agli occhi del cittadino/consumatore prodotti e servizi di aziende che assumono comportamenti etici esemplari: nel trattamento dei propri dipendenti/collaboratori e nella sostenibilità ambientale delle proprie scelte.